Damian Doyle

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Ouija
view post Posted on 2/2/2010, 19:02




Basati, in qualche modo, a fatti realmente accaduti
Ogni riferimento a cose e/o persone NON è puramente casuale. Si, ce l'ho proprio con voi

I.

Qualcuno bussò alla porta dell'ufficio del preside Malcolm Ackerley. Sapeva chi era e non gli piaceva affatto la notizia che doveva portare.
Due morti nel corso dello stesso trimestre, il preside si passò una mano sulla fronte madida di sudore mentre si alzava dalla sua scrivania. Gli passarono davanti agli occhi i volti di Percy Palmer e James Kudrow, uno professore di latino suicidatosi per motivi sconosciuti nel suo studio impiccandosi lasciando la moglie Isabel in preda alla disperazione, l'altro, studente nella media che si era avventurato fuori dal collegio approfittando della distrazione di un prefetto era stato investito da un'automobile. Malcolm si sentiva pesantemente responsabile delle loro vite, era come se avesse potuto evitarle volendo. Sapeva che non era così, ma quel presagio gli aveva tolto il sonno per troppe notti ormai e ora, l'ennesima morte in qualche modo collegata alla sua scuola, si domandò se Dio non avesse deciso di distruggere le mura di Harrington Abbey, il rinomato collegio della contea di Norfolk che da più di vent'anni ospitava la popolazione benestante proveniente da tutta l'inghilterra. Cosa stava succedendo? Il preside non si rispose.
Sua moglie Lilith gli strinse la mano per fargli coraggio, lei c'era sempre per lui. Sempre.
-Avanti disse lui.
Damian Doyle entrò. Rimase vicino alla porta senza salutare. Era uno studente dal bell'aspetto, capelli lunghi di un nero cupo, occhi azzurri penetranti sempre partecipi del suo sguardo spento, annoiato, lascivo; rispecchiava adeguatamente il suo comportamento in quella scuola. Era sempre stato da solo, snobbando la compagnia altrui e permettendosi un'arroganza senza precedenti verso tutte le forme di autorità. Il suo sguardo sembrava dire Io vi disprezzo. Disprezzo ciò che siete, ciò che rappresentate...vi odio tutti
Malcolm aveva pensato che fosse quel classico tipo di studente che schifava gli altri e faceva il solitario mentre, in realtà, si crogiolava sulle attenzioni altrui. Si sbagliava.
Doyle era esattamente ciò che rappresentava di essere, un solitario disgustato da ogni tipo di contatto umano. Questo prima che arrivasse Meredith. Iscritta da poco al Harrington Abbey si era subito distinta come un'allieva modello ed era una persona solare che si era garantita l'amicizia di tutti.
Paradossalmente adesso le sue attenzioni erano ricadute sul sedicenne Damian Doyle che rappresentava tutto il contrario di lei, forse era vero che gli opposti si attraevano.
Damian Doyle e Meredith Clive, un pensiero che aveva fatto storcere il naso alla maggior parte dei docenti dell'istituto, anche Malcolm considerava la vicinanza di Damian un pericolo per quella ragazza, quasi la sua influenza potesse contagiarla. Ma ormai tra loro si era sviluppato un tenero sentimento che tutti avevano notato.
Questo ragazzo è pericoloso si ripeteva il preside, ma in quel momento mise da parte tutti i pregiudizi che aveva contro Doyle, la notizia che doveva dargli non lasciava spazio alle loro inimicizie.
-Chiedo scusa per il ritardo- cominciò Damian -Ero a lezione
Il preside annuì e mosse i piedi a disagio, cercando qualcosa da dire. Lilith, molto più disinvolta di lui in questo tipo di situazioni, venne prontamente in suo aiuto. Lei aiutava tutti, specialmente la sua amica Mrs. Palmer, da poco rimasta vedova del marito Percy, suicidatosi proprio in quella scuola; Lilith era vicino a lei come lo era a Malcolm. Lui l'amava proprio per questo, Meredith e lei avevano molte cose in comune, forse per questo si sentiva in dovere di proteggere quella ragazzina.
Sorrise a Damian e gli indicò il sofà.
-Perchè non vieni a sederti? Damian eseguì. Lei si accomodò accanto a lui e Malcolm sedette su una poltrona di fronte a loro. Damian li guardò entrambi con sospetto.
-Perchè ha voluto vedermi? domandò a Malcolm.
Lui inspirò profondamente -Damian, c'è una cosa che ti dobbiamo dire
-Abbiamo ricevuto una telefonata da tua zia- spiegò Lilith. Si avvicinò di più a Damian e gli mise una mano sulla spalla -Temo ci siano cattive notizie
-Quali notizie?
-C'è stato un incidente
Damian deglutì -Capisco
Lilith gli prese una mano -Non preoccuparti, non si tratta di tuo padre
-C'è stato un incendio aggiunse Malcolm.
-Dove?
-A casa di tuo padre spiegò Lilith.
-E poi?
-Come ti ho detto, tuo padre sta bene. Non c'è nulla di cui preoccuparsi
-Se non c'è nulla di cui preoccuparsi, perchè vi comportate come se fosse morto qualcuno? domandò freddamente Damian.
Lilith sospirò -Qualcuno è morto
Damian abbassò gli occhi -Lei allude alla mia matrigna...
-Si- gli si avvicinò di più -E' proprio così, purtroppo
Damian continuò a guardare il pavimento -Era incinta- esclamò all'improvviso -Lei lo sapeva?
-No
-Incinta del mio fratellino o sorellina. Disse che dopo la sua nascita saremmo stati una famiglia
Qualcosa nel tono di Damian inquietò Malcolm. Cercò di cogliere lo sguardo di Lilith, ma lei era troppo impegnata a fare la consolatrice per accorgersene.
-Oh, Damian, mi dispiace tanto. Mi dispiace davvero
Damian sembrava insensibile a quelle parole.
-E come è nato l'incendio?
-I tuoi genitori erano invitati a cena a casa di amici- disse Malcolm -La tua matrigna si sentiva poco bene e andò a letto. Tuo padre avrebbe voluto annullare l'impegno, ma lei lo incoraggiò a uscire. Prima di andarsene, lui fumò un sigaro in una stanza al pianterreno. Sembra che non lo abbia spento completamente. Fu così che l'incendio ebbe inizio
-La mia matrigna era sola in casa?
-Si
-Mio padre non c'era?
Malcolm scosse il capo -Damian mi dispiace che tu debba ricevere questa notizia da noi. Come puoi immaginare, tuo padre è sconvolto. Tuo zio e tua zia non hanno avuto il coraggio di lasciarlo solo, dopo ciò che è successo. Tua zia ha pregato noi di informarti. Lo avrebbe chiesto al capo della tua Casa, ma dato che conosce mia moglie e ha simpatia per lei, ha voluto che fossimo noi a dirtelo. La zia verrà a trovarti appena potrà
All'improvviso un'espressione di panico si dipinse sul volto di Damian. Guardò Lilith.
-Lei mi ha detto tutto, non è vero? Mio padre sta bene?
-Certo che sta bene, Damian, assolutamente
-Non avrei voluto che gli capitasse qualcosa. Proprio non avrei voluto
-Certo che non lo avresti voluto- disse Lilith in tono rassicurante. Sorrise a Malcolm che ricambiò il sorriso, ma per la seconda volta qualcosa nel tono di Damian lo aveva fatto sentire a disagio. Udirono bussare alla porta.
-Siamo occupati esclamò.
La porta si aprì di uno spiraglio. La segretaria si affacciò.
-Sally!- esclamò Lilith -Ti ho detto che non volevamo essere disturbati!
-Chiedo scusa, Mrs. Ackerley, ma Mrs. Palmer è al telefono. Vuole parlare con lei
-Oh Dio!- Lilith sembrava turbata. -Sally, per favore, dille che la chiamerò appena possibile
-Non importa, Mrs. Ackerley- disse educatamente Damian -Lei dovrebbe andare a parlarle
-No, può aspettare. Tu hai avuto una notizia terribile. Dobbiamo parlarne ancora un poco
-Sinceramente, Mrs. Ackerley, io mi sento bene- Damian le sorrise -Lei è stata molto gentile con me e io la ringrazio
Lilith guardò Malcolm come per chiedergli consiglio. Lui assentì.
-Benissimo. Se ne sei sicuro. Però, Damian, noi siamo qui a disposizione ogni volta che senti il bisogno di parlare. Lo sai, non è vero?
-Sì, lo so
Lei lo baciò sulla guancia, poi si alzò ed uscì dalla stanza, lasciando il ragazzo solo con Malcolm.
Malcolm cercò altre parole di conforto, ma non poteva scuotersi di dosso il senso di imbarazzo.
-Sono davvero dispiaciuto, Damian disse debolmente.
Damian chinò la testa -Mi domando come si deve sentire mio padre
-Davvero
-Si sentirà in colpa
-E' stato un incidente
-Lo so, ma c'è di mezzo il suo sigaro. Deve pensare che è tutta colpa sua
-Credo proprio di sì. Pover'uomo. Che terribile fardello da portare
-Vero ammise Damian sottovoce.
Poi, all'improvviso, scoppiò a ridere.
Malcolm si sentì gelare.
-Dovrà convivere con questa colpa ogni secondo di ogni giorno della vita che gli rimane. Da quando si sveglia a quando si addormenta. E anche quando dormirà non potrà sfuggirgli, perchè sarà nei suoi sogni. Immagini come dev'essere, vivere in quel modo. Sempre che si possa chiamarlo vivere
-Damian, tu sei sconvolto. Non sai ciò che stai dicendo
-Oh, lei si sbaglia, Mr. Ackerley. Io so esattamente che cosa sto dicendo alzò gli occhi. Erano scure pozze di malevolenza. Il cuore di Malcolm accellerò i battiti.
Antiche voci cominciarono a sussurrare nella sua testa.
Questo ragazzzo è pericoloso.
Ma adesso le parole erano ancora più cupe, più sinistre.
Questo ragazzo è malato di mente.
-Damian, è morta la tua matrigna!
-Lo so. E' stata l'amante di mio padre per tre anni prima che si sposassero. Lo sapeva questo? Scopava con mio padre mentre mia madre era ancora viva
-Ma lei è morta! Per amor di Dio, dimostra un po' di rispetto!
-Rispetto? Per una sporca puttana?
-Basta così!
-Non sono nemmeno sicuro che il suo bambino fosse figlio di mio padre. Probabilmente è figlio di un qualche ruffiano che le dava quattro soldi per scoparla in un vicolo
-BASTA COSì!
Malcolm aveve il volto paonazzo e tremava per il furore.
-Esci da questa stanza! Tu sei malato! Non sei sano di mente. Forse potrai farti aiutare. Non lo so e, francamente, non me ne importa. L'unica cosa che so è che non voglio che altre persone siano esposte alla tua compagnia un istante di più. Parlerò a tuo padre e ti farò portare via da questa scuola!
-Io non gli parlerei in questo momento, signore- il tono di Damian era sorprendentemente controllato paragonato a quello del preside -Come lei stesso ha detto, è molto scosso
-VA' VIA! FUORI DI QUI, SUBITO!
Damian sorrise. Si alzò lentamente in piedi e andò alla porta. Malcolm lo guardò.
-C'è un'altra cosa
-Che cosa? domandò Damian senza prendersi la pena di voltarsi.
-Devi porre fine alla tua "relazione" con Meredith Clive. Devi cessare ogni rapporto con lei. Non voglio che sia infettata dal male, qualunque esso sia, che c'è in te
Damian si voltò di colpo. Non sorrideva più.
-Che cosa ha detto?
-Che la tua relazione con Meredith è finita
-Vada a farsi fottere quel tono era agghiacciante, calmo e pacato ma si poteva avvertire una velata crudeltà sotto di esso, una minaccia.
Malcolm si alzò in piedi.
-Come osi parlarmi in questo modo?
Damian si avvicinò al preside Ackerley e lo guardò fisso negli occhi.
-Oso farlo, signore, perchè sono sconvolto. La mia amata matrigna e il mio fratellino non ancora nato sono morti. Metà della mia famiglia è stata cancellata. Mi sento distrutto. Non so che cosa sto dicendo
-Tu sai esattamente che cosa stai dicendo!
-Lei lo sa, signore. Anch'io lo so. Ma chi altri lo crederà?
-Che diavolo è questo discorso? Mi stai minacciando?
-Io credo che lei abbia invertito i ruoli, signore. E' lei che parla di esplulsione e di separazione da persone care. Oserei dire che lei sta facendo minaccie, non io
-Piccolo bastardo! Io dovrei...
-Cosa dovrebbe fare, signore? Fustigarmi? Non lo credo. Sarebbe una pessima idea. Le cose non vanno troppo bene per lei in questo momento, non è vero, signore? Due morti nello stesso trimestre. Non è la migliore pubblicità per la scuola, ne conviene? Mi domando quanti genitori stanno già considerando l'idea di portare via i loro figli. Immagino che siano parecchi. E quando sapranno che il preside della scuola ha fustigato un ragazzo, che l'ha minacciato di espulsione pochi momenti dopo avergli detto che metà della sua famiglia era morta in un incendio, presumo che quei genitori saranno ancora più numerosi
Damian fece una pausa. Respirava affannosamente. I suoi occhi scintillvano.
-Perciò, signore, come le ho detto: VADA A FARSI FOTTERE
Si voltò e andò alla porta.
Malcolm fece un ultimo tentativo di esercitare la propria autorità.
-Ti pentirai del tuo modo di comportarti, Doyle! Te lo prometto!
A quelle parole, Damian si voltò appena, il volto disegnato ricalcando il sorriso di un demone. Rise istericamente, una risata che fece sentire il preside di Harrington Abbey in preda al panico.
Uscì sbattendo la porta.

Edited by Ouija - 5/2/2010, 17:15
 
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Ouija
view post Posted on 5/2/2010, 17:13




II.

-Schwimmer mi odia- disse energicamente Meredith -Lui e quelle cazzo di traduzioni di latino
Damian, seduto sul banco, la guardava indifferente.
-Vedrai- continuò lei -Se oggi non mi becca con un'altra frase impossibile
-Non succederà il tono di Damian era freddo, ma rassicurante
-E tu come fai a dirlo?
-Non succederà
Mancavano pochi minuti prima che il professor Joseph Schwimmer, supplente di latino, facesse la sua entrata in aula.
Damian rivolse a Meredith un sorriso.
-Fidati di me
Lei sbuffò stancamente.
-Mi fido ma...Schwimmer....
Damian le prese il mento con due dita e le alzò il volto.
-Fai come ti dico...e andrà tutto bene
-Come fai a dirlo?
-Lascia fare a me

A quelle parole, lei si convinse che Damian aveva ragione.



L'aula 24 era silenziosa, ma un senso di aspettativa era sospeso nell'aria. Era sabato mattina, e solo poche ore separavano gli allievi dalla relativa libertà del fine settimana.
Joseph Schwimmer, seduto incattedra, sfogliò il registo mentre cercava di decidere chi doveva tradurre la prima frase. Era difficile, ma non quanto la quarta frase che, nelle sue intenzioni, era già assegnata a Meredith Clive.
Il professore gustava quell'aria tesa che preannunciava la preoccupazione degli alunni, tutti spaventati all'idea di essere scelti per la traduzione. Si trovava da poco ad Harrington Abbey, era stato assunto come sostituto del defunto professor Percival Pamler, suicidatosi nel suo ufficio il trimestre prima. Lui era molto diverso da Palmer, aveva capito subito che i suoi allievi non erano abituati a dover sostenere un'interrogazione di latino ad ogni lezione, se la dovevano essere presa comoda fino ad allora. Ci voleva disciplina, e Joseph Schwimmer era il candidato ideale per impartirne.
L'allieva che aveva trovato più irritante era Meredith Clive, una ragazzina timida, solare e sempre felice. Era amica di tutti. A Joseph dava sui nervi. L'aveva già tartassata altre volte con traduzioni ben oltre la sua capacità e sempre aveva goduto in silenzio dell'imbarazzo della ragazza, della sua incapacità di affrontare la situazione, i balbettii, il rossore sul suo volto, la voce tremante. Quel giorno si sarebbe divertito ancora.
Mentre scrutava le file di banchi si accorse di un fatto insolito. Damian Doyle, seduto nella consueta posizione isolata, non stava guardando fuori dalla finestra come faceva di solito durante le sue lezioni. Guardava lui. Senza dubbio si stava chiedendo chi sarebbe stato il prescelto. Gli occhi di Schwimmer passarono oltre e si fermarono su un banco a due posti dall'altra parte dell'aula.
-Borkow
Phillip Borkow, attento e preparato, cominciò bene ma poi si fermò. Non era una cosa imprevista: il testo conteneva un cocetto nuovo per la classe.
-Qual'è il tempo del verbo Borkow?
Il ragazzo rifletté un momento.
-Trapassato remoto, signore Schwimmer scosse il capo.
-Quasi, ma non proprio- si passò la lingua sulle labbra -Forse qualcuno può illuminarlo?
Una mano si alzò. Joseph Schwimmer provò il consueto senso di irritazione
-Tutto qui? L'abbiamo studiato la settimana scorsa Vide che qualcun'altro se ne ricordava, poichè altre cinque o sei mani si erano alzate.
-Così va meglio- Si concesse una piccola battuta -Sono lieto che almeno qualcuno di voi stia attento quando faccio lezione risate servili si alzarono dai banchi. Damian Doyle lo stava ancora fissando.
-Dimmi, Spencer
-E' un gerundio, signore
-Giusto. Ti dice qualcosa Borkow?
Borkow arrossì leggermente.
-Si signore. Mi spiace
-Continua
Borkow, chiarito il punto, concluse la traduzione con discreta scioltezza.
-Bene, la prossima volta vedi di identificare la costruzione prima di cominciare. All'esame non avrai Spencer ad aiutarti
Altre risate. Schwimmer voltò la pagina del libro di testo e studiò chi chiamare per la frase successiva. Poichè era una delle più facili, la maggior parte degli studenti ricambiò lo sguardo.
Lo fece anche Damian Doyle.
Quello scrutinio costante cominciava a disturbare il professore. Di solito lo irritava l'abitudie di Doyle di guardare fuori. Però questa volta quegli intensi occhi azzurri puntati, senza batter ciglio, su di lui indussero Schwimmer a desiderare che le vecchie abitudini non morissero così facilmente.
-Leticia Mitchell
La ragazza si scambiò una rapida occhiata con la compagna seduta accanto a lei; lo facevano sempre, quando una di loro veniva interrogata.
Leticia cominciò a tradurre, lentamente ma con precisione. Dietro di lei, Meredith Clive e Aaron Miller fissavano i propri libri. Schwimmer sospettava che Meredith facesse affidamento sulle risposte preparate da Aaron. Anche lui non era uno studente particolarmente abile ma di certo si era prontamente fatto passare le traduzioni da altri compagni, come suo solito. Non che avesse importanza. Qualunque studente, per quanto bravo, avrebbe avuto problemi con la quarta frase.
Sperava solo che Damian Doyle smettesse di guardarlo in quel modo.
Leticia Mitchell incappò in un errore. O no? Benchè gli occhi del professore fossero fissi su di lei, la sua attenzione continuava a spostarsi verso il banco vicino alla finestra.
-Ripeti l'ultima frase Mitchell
Leticia eseguì. Tutto giusto, non c'era nemmeno un errore.
Schwimmer provò imbarazzo.
-Tieni la testa alta, Mitchell, e apri di più la bocca. Ti stai mangiando le parole
Leticia, sollevata per essere giunta alla fine senza inconvenienti, annuì disciplinatamente.
Frase tre. Non troppo facile. I ragazzi che prima avevano sostenuto lo sguardo del professore questa volta si chinarono di nuovo sul piano dello scrittoio.
Non così Damian Doyle. I suoi occhi restavano fissi su Schwimmer. Senza battere le palpebre, concentrati.
Nell'aula faceva freddo, ma l'aria cominciava a sapere di stantio.
-Doyle, traduci la terza frase
Si aspettava che abbassasse gli occhi, ma non lo fece. Continuò a scrutarlo. Distaccato, ma ostile.
-Doyle mi hai sentito?
-Si, signore
-Allora concentrati sul tuo testo. La risposta non sta sospesa nell'aria. E sbrigati, non abbiamo tutto il giorno a disposizione

Guarda altrove, guarda altrove, guarda altrove, guarda altrove.
La bocca cominciò a muoversi, ma il professore aveva difficoltà a seguire la traduzione. Gli occhi restavano puntati su di lui. Si sfrozò di registrare mentalmente le parole, guardando il proprio libro e verificando l'esattezza. Perfetto.
-Molto bene
Tornò ad occuparsi del resto della classe, che continuava a guardare in basso.
-Adesso ci occuperemo della numero quattro- Fece una pausa per osservare le spalle che diventano tese -Clive, direi
Un rumoroso sospiro si alzò dal banco accanto alla finestra ed eccheggiò nella stanza. Gli occhi erano ancora fissi su di lui. Schwimmer voltò la pagina del libro consapevole del tremito della propria mano.
Meredith Clive non alzò la testa. Cominciò lentamente, tradusse la prima parola, le seconda, poi tacque. Joseph Schwimmer recuperò in parte la propria sicurezza.
-Continua
-Non lo so, signore
Schwimmer permise alla propria voce di assumere una certa durezza.
-Clive ti ho avvisato. Non farci aspettare. Quale parola viene dopo? Attese di vederla arrossire, balbettare, cadere in preda al panico.
Meredith alzò la testa e fissò l'insegnate. Il suo viso era pallido, gli occhi limpidi.
-Gliel'ho detto, signore. Non lo so
Schwimmer sentì lo stomaco in rivolta. Una cosa simile non poteva accadere.
-Clive, ti ho avvisato...
-Forse qualcun'altro potrebbe illuminarla, signore?
Damian Doyle stava ritorcendo le sue parole contro di lui! Ma che c'entrava Doyle?
-Nessuno l'aiuterà. Ho chiesto a Clive di tradurre la frase, e noi staremo qui seduti finchè lei non l'avrà fatto
Osservò Meredith cercando i segni familiari di umiliazione, ma non ce n'erano ancora.
-Continuo ad aspettare, Clive
-E io continuo a non sapere, signore
-Forse qualcuno potrebbe aiutarla, signore? Come lei ha permesso a Spencer di aiutare Borkow?
-Doyle, se volessi la tua opinione...
-Sto solo cercando di collaborare, signore. Se lei non ha adesso la risposta, non ce l'avrà mai. E come lei stesso ha detto, signore, non abbiamo tutto il giorno a disposizione

Schwimmer si sentiva ipnotizzato da quegli occhi. Cercò di riprendersi, non poteva permettere a quel ribelle di umiliarlo.
-Potrei aiutarla io disse Aaron Miller intromettendosi. Schwimmer se l'aspettava, quel patetico ragazzino pratico solo nell'attività fisica sbavava dietro alla Clive da quando questa era arrivata. La seguiva come un cagnolino ovunque andasse; Schwimmer si divertiva a provocare quell'insulso ragazzo, ma in quel momento voleva sistemare un'altro, forse più fastidioso elemento.
Vuoi il gioco duro, Doyle? Ebbene sarai accontentato
-Doyle, visto che sei così desideroso di collaborare, forse potresti illuminare la nostra Clive
Gli occhi lo perforarono -Si, signore. Forse potrei
Ci furono delle risatine soffocate, stavolta non erano servili.
-ALLORA FALLO!
Damian Doyle diede con aria noncurante la risposta esatta.
-Giusto- ammise Schwimmer con riluttanza -Ora continua, Clive
Meredith tornò a concentrarsi sul libro di testo. Però Doyle continuava a fissare Schwimmer, che aveva il cuore in tumulto. La penna che aveva in mano gli scivolò d'un tratto, facendolo trasalire. Si sfrozò di concentrarsi su ciò che diceva Meredith, sperando in un errore. Infine ce ne fu uno.
-Ripeti, Clive
-Che cosa, signore?
-Ciò che hai appena detto! Sbrigati!
-I cittadini spaventati avevano dimenticato di...
-Il tempo! Che tempo è?
-Avevano dimenticato
-Errore! Errore! Errore!-
Schwimmer giubilava -Quante volte te lo devo dire? Come sei stupida! Non riesci a fare nulla di buono? Perchè...
-Forse lei scoprirà che non è sbagliato, signore
intervenne Damian Doyle.
-Cosa vuoi dire? Certo che lo è! Guarda il testo!
-Lo sto facendo, signore
-Non con sufficente attenzione, a quanto vedo

Schwimmer guardò il proprio libro.
Il cuore gli sprofondò nello stomaco.
La risposta di Meredith Clive era esatta.
Come poteva aver commesso un errore così grossolano? Come, se non per la confusione prodotta dallo sguardo insistente di Doyle? Deglutì a disagio.
-Sembra che io mi sia sbagliato, Clive. Le mie scuse- tornò a guardare il testo, e intanto udì dei mormorii nell'aula -Continua
Meredith completò la frase.
-Nessun errore. Bene. Ora dobbiamo sbrigarci, il tempo passa. La prossima frase...Finch
Stuart Finch cominciò a parlare. Schwimmer alzò gli occhi. Tutti i ragazzi lo stavano ossevando, e tutti furono svelti ad abbassare la testa.
Tutti meno due.
Schwimmer respirò lentamente, riservando la propria attenzione a Finch, cercando di capire ciò che il ragazzo stava dicendo. Però le parole erano solo rumori, raffiche di suoni affogate dal potere degli occhi.
Poi, all'improvviso, Doyle si lasciò andare contro lo schienale e riprese a guardare fuori dalla finestra, come faceva sempre. Meredith sentì il cambiamento, lanciò un'occhiata a Doyle per averne conferma, quindi guardò di nuovo il libro.
La normalità era ripristinata.
Schwimmer sentiva il viso congestionato e il cuore che batteva a precipizio, avvertiva pure una stretta al cranio che sembrava preannunciare una cefalea. Inspirò adagio e profondamente. Finch teminò la traduzione, seguito da Anderson, poi da Spencer. Il professore raccolse la penna che gli era caduta prima, la sua mano aveva smesso di tremare. Cominciò a sentirsi più calmo, più sicuro, e furibondo. Doyle e Meredith erano stati insolenti al massimo. Avrebbe parlato con loro alla fine della lezione. Ma forse, pensò, l'unico con cui voleva parlare era Doyle.

Quando il campanello squillò alla fine della lezione, Joseph Schwimmer fece uno sforzo per controllare il proprio sollievo.
-Bene. In libertà. Senza fare troppo chiasso, per favore I ragazzi del quarto anno si alzarono in piedi e si avviarono verso l'uscita, preparandosi per l'intervallo di metà mattinata. Joseph stava seduto e li osservava. James Wheatley sembrava teso. Forse aveva dormito male, peggio per lui. L'oggetto della sua attenzione si stava avvicinando. Schwimmer esitò per un momento, poi decise di affrontare la questione.
-Doyle!
Damian Doyle si voltò verso di lui.
-Signore?
-Una parola con te, se non ti dispiace

Damian Doyle si fermò e atttese che gli altri allievi uscissero. Joseph vide Meredith Clive e Aaron Miller in attesa sulla soglia.
-Cosa aspettate voi due? Andatevene e chiudete la porta
Aaron obbedì, ma Meredith rimase dov'era.
-Clive, sei sorda? Ancora nessuna reazione, finchè Damian Doyle non si voltò facendole un cenno affermativo con la testa. Joseph trangugiò la collera e si dedicò al problema che voleva discutere.
-Dimmi, Doyle, che sta succedendo?
Gli occhi azzurri lo fissarono con calma.
-Che cosa vuol dire, signore?
-Non fare il tonto con me. Sai esattamente che cosa intendo
-Davvero, signore?
-Per quanto tempo credi che io possa sopportare questo comportamento?
-Quale comportamento, signore?

Joseph inspirò profondamente.
-Damian Doyle, non mi piace essere provocato
-Sono sicuro che non le piace, signore. Però mi sarebbe di enorme aiuto sapere di che cosa sta parlando
-Ti consideri molto furbo, vero, Doyle?-
Damian si strinse nelle spalle -Non è così?
-Credo che sia una domanda da rivolgere ai miei insegnati, signore. Lei mi considera furbo?
-Non girare intorno all'argomento, Doyle
-Girare intorno a cosa, signore?
-Altri membri del personale insegnante possono essere disposti a tollerare la tua insolenza, ma io no, te l'assicuro
-Sono insolente, signore?
-Sai maledettamente bene che lo sei
-Non lo so, signore. So con certezza che mi sforzo sempre di essere educato. Però, se lei volesse spiegarmi quale aspetto del mio comportamento lei considera insolente, sono sicuro che potrei tentare di cambiarlo

Schwimmer si rese conto di essere come un pugile chiuso nell'angolo. Doyle diceva la verità. Il suo comportamento indossava sempre la maschera della perfetta educazione. Lo disturbava solo ciò che c'era dietro quella maschera.
Come il suo modo di guardare.
Stava andando sempre peggio. Quegli occhi, così fissi e penetranti, rimanevano concentrati su di lui, senza batter ciglio, dall'inizio alla fine della lezione. Schwimmer aveva tentato di ignorarlo, ma era difficile perchè, nei rari istanti in cui guardava quegli occhi, vedeva tutto il veleno che essi contenevano e provava paura.
Proprio come in quel momento.
Gli occhi di Damian Doyle lo bloccavano completamente, come se lui avesse avuto una morsa intorno alla testa. Lo perforavano come punte di trapano, facendogli capire che volevano vedere nella sua anima e nella tenebra che ospitava.
Era un duello, e lui stava perdendo terreno. Lottò per riprendere il controllo.
-Ho detto tutto ciò che ho da dire, Doyle. Prendilo come un monito. Se questo comportamento continua, faro i passi necessari per farlo cessare. Qui io sono il professore, e come tale detengo il potere. Sarà saggio da parte tua tenerlo presente
Parole forti, di cui si pentì subito. Quasi impercettibilmente Damian Doyle raddrizzò la schiena.
-Lei...non mi sta minacciando...vero, signore?
Il tono era ancora cortese, ma gli occhi erano glaciali.
Joseph Schwimmer deglutì a fatica.
-Mi sta minacciando, signore?
-No
-Me ne rallegro, signore. Sarebbe molto sleale da parte sua, quando io faccio tanti sforzi per essere educato

Damian fece un passo avanti. Joseph lottò contro l'istinto che lo spingeva a lasciarsi andare contro la spalliera della poltrona.
-In effetti, signore, potrebbe spingermi a dimostrale quanto posso essere insolente- un sorriso cominciò ad affiorare sugli angoli della sua bocca -Speriamo di non dover arrivare a questo, signore
Joseph avrebbe voluto parlare, ma la sua gola era arida. Poté soltanto annuire.
-C'era qualche altra cosa che lei voleva dirmi?
Joseph scosse il capo.
-Allora posso andare?
-Si
-Grazie, signore
Damian girò sui tacchi e si diresse alla porta. Prima di uscire si voltò sorridendo.
-A lunedì, signore. Seconda lezione Poi se ne andò.
Joseph rimase dov'era. Allungò una mano per prendere la penna e mettersi a scarabocchiare qualcosa sul registro. Il tremito violento gli impedì ti farlo

Edited by Ouija - 5/2/2010, 17:32
 
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Ouija
view post Posted on 23/2/2010, 16:19




III.

L'ultima lezione era appena finita. Mentre la classe superiore di francese usciva dall'aula 61, Aaron Miller si sentì chiamare per nome. Si voltò e vide Damian Doyle che andava verso di lui. Tra di loro non c'erano mai stati rapporti di alcun genere, l'unica cosa che li accomunava era il forte legame che avevano con Meredith Clive. Aaron era stato il primo a legare veramente con lei. Lui era bello, atletico, attraente e desiderato da molte ragazze della scuola. Solo lei, però lo aveva colpito veramente.
Avevano fatto amicizia frequentando lo stesso corso di fotografia, avevano iniziato a frequentarsi di lì a poco e tutto procedeva per il meglio. Fin quando Meredith non aveva conosciuto Doyle. Aaron sentiva che tra loro c'era qualcosa che mancava al suo rapporto con Meredith, ma non voleva farsi da parte così facilmente, grazie alla sua amicizia con lei era sempre riuscito a stare con loro quando si trovavano al di fuori dell'orario scolastico. Era un triangolo: Aaron, Meredith e Damian.
Per uno come lui, abituato a frequentare la palestra e ad uscire sentendosi addosso gli occhi desiderosi di tutte le ragazze dell'istituto, quella situazione era fastidiosissima. Sapeva benissimo che Doyle non lo vedeva di buon occhio e di certo era ansioso di liberarsi di lui, ma Aaron aveva deciso di stare con Meredith e non sarebbe certo stato un eterno solitario come Damian ad impedirglielo.
Diossanto, tra tutte le persone con cui poteva fare amicizia...proprio con Meredith?! si chiedeva alle volte.
Damian gli si avvicinò tranquillamente, senza staccargli gli occhi di dosso.
-Vieni allora? domandò.
-Dove?
-Meredith non te l'ha detto?
-Detto cosa?

Li per lì Damian sembrò stupito. -Evidentemente no Alzò le spalle e fece per andarsene.
-Dirmi cosa? insisté Aaron.
-Niente rispose Damian senza fermarsi.
Aaron gli corse dietro.
-Dev'essere stato qualcosa di importante, se no non me l'avresti domandato
-Stasera servono quella schifezza di polpette. In camera ho un paio di cibarie, ho pensato che potevamo distruggerle assieme. L'ho detto a Meredith
-Lei non mi ha detto niente
-Se ne sarà dimenticata. Dipende da te. Mi sa che preferiresti cenare con il resto della classe

Ti piacerebbe pensò Aaron. -Verrò- disse con energia -Ti ringrazio
Damian non fece nessuno sforzo per nascondere il proprio malcontento.
-D'accordo- confermò a malincuore -Ci vediamo lì per le otto meno un quarto
-Ci sarò Ci puoi scommettere che ci sarò

Sette e mezzo.
Damian camminava nel corridoio silenzioso, rimembrando il problema: Aaron Miller.
In effetti la sua costante presenza e la sua indole ad interpretare il ruolo del "terzo incomodo" aveva cominciato a disturbarlo sin da quando aveva conosciuto Meredith. Aveva avuto di meglio a cui pensare fino ad allora, ma il problema andava tagliato alla radice.
Davanti a lui, nel senso contrario, David Coubert, un allievo del quinto anno, stava camminando da solo. Appena vide Damian sorrise malignamente andandogli incontro. Gli occhi di Doyle si puntarono su di lui, freddi come una lastra di ghiaccio.
-Dove te ne vai di bello, Doyle?
Damian lo ignorò, tirando dritto. David si sentì offeso da quella mancanza di attenzione; era solito a vederla nei ragazzi più piccoli che non cercavano problemi, ma quella di Doyle era ben diversa. Lui non aveva paura, semplicemente non era interessato a scambiare una parola con lui. David sentì la rabbia crescere dentro di sé.
-Ehi, sto parlando con te!
Damian si voltò e andò verso di lui. David lo guardò con aria divertita.
-Beh Doyle? Cos'è quello sguardo?
La gomitata che Damian assestò sul volto di David produsse uno scricchiolio quando il setto nasale si ruppe. David lanciò un grido e arretrò perdendo l'equilibrio. Damian gli diede un calcio all'inguine. David cadde a terra. Damian si avvicinò al corpo ranicchiato e gli sferrò un calcio in testa.
David rimase a gemere sul pavimento, Damian si chinò e lo afferrò per i capelli guardandolo fisso in viso.
-Quando ti chiederanno cosa è successo, di' che sei caduto per le scale. Sarà meglio che ammettere di essere stato battuto da un ragazzo del quarto anno
Sbatté la testa di David, poi proseguì verso la sua destinazione. Doveva occuparsi di Aaron.

Sette e cinquanta.
Aaron correva per il corridoio, convinto che Meredith fosse già da Damian. Non gli piaceva l'idea che rimanessero soli loro due, sperava di essere ancora in tempo.
Quando giunse alla camera di Damian provò sollievo a vedere che Meredith non fosse ancora arrivata, il giovedì si potevano vedere solo la sera e quella non andava sprecata.
Damian era disteso sul letto e sfogliava un libro, Il signore delle mosche di William Golding. Degnò Aaron di uno sguardo disinteressato per poi tornare sulla lettura.
-Scusa il ritardo. Meredith non è ancora arrivata?
-No rispose seccamente Damian.
Mentre riprendeva fiato, Aaron ragionò sul fatto che quella era la prima volta che Damian e lui rimanevano insieme da soli, e quest'intimità improvvisa fece sentire Aaron sulle spine. Si chiese se Damian provasse la stessa sensazione, anche se non sembrava. Lui era disteso sul letto, completamente rilassato, la sua attenzione sul libro. Aaron cominciò a rammaricarsi che Meredith non fosse già lì.
Damian additò una sedia vicino allo scrittoio. Aaron sedette.
-Immagino che arriverà presto
-Così dovrebbe
-Mrs. Flemming tira sempre per le lunghe. Meredith se ne lamenta spesso
-Già

Aaron udì in lontananza delle voci, ma tutto era silenzio al piano degli allievi del quarto anno. D'un tratto Damian spostò la sua attenzione dal libro a Aaron, e quello sguardo fisso lo innervosiva. Si sforzò di trovare qualche altra cosa da dire.
-E' veramente stupido non ti pare? Avere lezioni supplementari di francese
-Perchè? Alcune persone vanno meglio di altre
-Potresti dirlo per qualunque materia. Guarda Meredith, brillante in storia dell'arte, scarsa in latino. E che mi dici di Patrick Spencer? Se ci fosse un corso di matematica per imbecilli, lui farebbe fatica a tenere il passo ance in quello
-Sarebbe a dire?
-Che è una cosa stupida
-Allora fa' qualcosa. Scrivi una lettera al consiglio d'amministrazione

Aaron rise nervosamente. -Sarebbe un po' troppo
-No, se sei fortemente convinto di ciò che dici
-Non ne sono fortemente convinto
-Allora perchè parlarne?

Aaron si strinse nelle spalle. -Tanto per dire qualcosa, immagino Sperava che Meredith si sbrigasse ad arrivare.
-Perchè dire qualcosa soltanto per dirla?
-Non lo so
-Hai paura del silenzio?
-No

Damian si prese una piccola pausa, poggiò il libro sul comodino e riportò lo sguardo su Aaron. Un minuscolo sorrisetto arrogante iniziò a comparirgli in volto
-Hai paura di me?
Aaron sentì le guance scaldarsi -No. Certamente no
-Allora perchè sei così nervoso?
-Non sono nervoso
-Ti comporti così con tutti? Arrossire, guardare il pavimento e dimenarti come se avessi paura di fartela addosso?
-No
-No, naturalmente. Solo con me. Se essere nella stessa stanza con me è una tortura così atroce, perchè non vai ad aspettare Meredith in fondo alle scale?

Era una tentazione. Ogni istinto gli gridava di farlo.
-O meglio ancora- continuò Damian -Perchè non ti levi dalle scatole e te ne vai da qualche tuo amico senza più rompere a noi due?
All'improvviso il coraggio di Aaron venne a galla. In fondo al cuore aveva sempre saputo che il confronto sarebbe stato inevitabile. Ora che il momento era venuto, lui non intendeva arrendersi senza combattere.
Alzò la testa e fissò Damian -Ti farebbe piacere, vero?
-Tu cosa ne pensi?
-Penso che sia ciò che hai sempre desiderato. Ma non succederà
-Davvero?
-No. Non lo permetterò

Damian sorrise -Sei pronto a scommettere?
-Meredith non viene, vero? Non c'è nessuna cibaria...Meredith non ne sa niente
-Giusto. Non lo sa. E' una storia fra me e te
-No, non lo è. Riguarda me e Meredith. Tu hai cercato di metterla contro di me, ma non ci sei riuscito, perciò ricorri alle minaccie per spaventarmi
-Perchè non guardi le cose in faccia? Meredith non ti vuole tra i piedi più di quanto ti voglia io. L'unica cosa che le impedisce di dirtelo è la preoccupazione di come potrai reagire. Tu non le piaci, le fai solo compassione. Chi potrebbe biasimarla? Tu sei così patetico. Se fossi patetico come te, mi ucciderei
-Tu mi odi sul serio, non è vero?
-Si-
ammise Damian continuando a sorridere -Ti odio davvero
Aaron si alzò lentamente in piedi. Il suo respiro era tranquillo e regolare. Il suo viso era freddo. Si stupiva della propria calma.
Damian Doyle, hai appena trovato pane per i tuoi denti pensò, sbagliandosi.
-Odiami quanto vuoi, ma non riuscirai a mettermi fuori. Tu non mi fai paura. Forse in questo momento Meredith ti considera un ragazzo interessante, ma presto ti vedrà per quello che sei realmente. In realtà sei tu che le fai pena, il classico "solitario della scuola", sei solamente interessato all'opinione degli altri, ti crogioli nell'opinione degli altri. Lei ti sta vicino come uno che fa volontariato sta vicino ad un handicappato, le fai pena. Povero piccolo Damian Aaron lo guardava con disprezzo, non era la prima volta che faceva a pezzi una persona con le parole. Lui era abituato a farlo, come era abituato a conquistare qualunque cosa volesse, che fosse una ragazza o una moto.
-E quando Meredith si stancherà di starti dietro, ti lascerà cadere come un pezzo di merda, e io sarò là a riderti sul muso terminò Aaron. Si voltò e se ne andò, deciso a conservare la propria dignità. La battuta successiva lo sbalordì completamente.
-Come sta la tua famiglia? domandò Damian con sguardo divertito.
Aaron si fermò di colpo e si voltò -Cosa?
-La tua famiglia? Come sta?
-Fatti i cazzi tuoi
-Le cose non possono essere facili per tua madre. Le affronta meglio adesso?
-Mia madre? Di cosa stai parlando?
-Non può essere facile per lei sapere che tua nonna continua a peggiorare. E anche preoccuparsi di ciò che succederà dopo. Come la volta che andò in città vestita solo con la camicia da notte e dovette essere riportata a casa dalla polizia. Ci sono stati altri incidenti del genere?

Aaron sentì una fitta allo stomato, rimase lì, a fissare Damian, con la bocca spalancata -Come fai...
-Non c'è da stupirsi se si sforza di fingere che non stia accadendo. Chi non sceglierebbe di nascondere la testa nella sabbia, piuttosto che fare qualcosa di concreto? E' molto più facile lamentarsi con il marito, fare torte per il figlio e dire a sé stessa che tutto va bene e che, quando sua madre lascerà il gas aperto o cadrà davanti a un autobus, sarà stato solo un tragico incidente e nessuno si sentirà in colpa

Il sangue defluì dal volto di Aaron.
-Tu vuoi bene a tua nonna, non è vero? Sono sicuro che anche lei ti vuole bene...quando riesce a ricordare chi sei. Ma ti vuole bene davvero? Forse preferiva tuo fratello, come lo preferivano i tuoi genitori
Aaron si sentì come se gli avessero strappato la pelle e gli stessero raschiando la carne nuda con un rasoio. Tutti i suoi segreti più dolorosi fatti sfilare davanti a lui. Segreti che non aveva raccontato a nessuno. A nessuno, tranne a Meredith.
-Sì- continuava Damian, tenendo lo sguardo fisso su di lui -E' stata una tragica sorte, quella di tuo fratello. Credi che tua nonna avrebbe preferito che fossi morto tu? Al posto tuo, io vorrei saperlo. Peccato che tu non sarai mai capace di chiederlo. Non a tua nonna, data la sua condizione attuale
Gli occhi di Aaron si stavano riempendo di lacrime. Si sforzò di trattenerle, ma non servì a nulla.
Lui non piangeva più da quasi dieci anni.
-Tuo padre è un dottore no? Il tipo intelligente, a quanto mi risulta. Com'era tuo fratello, ma non come sei tu. Però mi sembra che sia una persona a posto. Non il tipo che ti farebbe capire che lo hai deluso
Aaron era tre volte più grosso di Damian, aveva le braccia colme di bicipiti dei quali andava orgoglioso, ma si sentiva come impotente davanti a quello sguardo e a quelle parole. Le lacrime scendevano sulle sua guance. Guardò senza parlare Damian, con un'espressione torturata che era una supplica silenziosa di pietà. Ma gli occhi di Damian non esprimevano compassione, bruciavano dall'ansia di assestare il colpo di grazia.
-Immagino che Meredith ed io siamo fortunati a essere figli unici. Non dobbiamo mai preoccuparci del pensiero che i nostri genitori ci amino più o meno dei nostri fratelli o delle nostre sorelle. E se muore un nostro fratello, non stiamo a chiederci con angoscia se papà e mamma avrebbero preferito che fosse toccato piuttosto a noi. Dev'essere terribile portarsi dentro una simile consapevolezza. Ma non lasciare che questo ti sconvolga. Sono sicuro che i tuoi genitori ti vogliono bene- fece una pausa -A modo loro
Aaron non riuscì a sopportarlo oltre. Emise un singhiozzo e uscì dalla stanza.
Damian, disteso sul letto sorrise soddisfatto.
Joseph Schwimmer, Aaron Miller... enumerò mentalmente.
Chi altri ancora rappresentava un ostacolo tra lui e Meredith?
Rachel Knoller disse ad alta voce. La migliore amica di Meredith.
Ora toccava a lei.
 
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Ouija
view post Posted on 12/3/2010, 17:54




IV.

Patrick Spencer detestava la lezione di matematica del giovedì mattina.
Ciò non significava che gli piacessero le altre materie della settimana. Poichè mancava tanto di intelligenza quanto di applicazione, costituiva un vero grattacapo anche per i professori più entusiasti. Il personale insegnante di Patrick Spencer aveva smesso da tempo di sforzarsi, accontentandosi di vederlo seduto in silenzio imbronciato in fondo all'aula, con la tacita intesa che non disturbasse i compagni.
Però ogni regola ha le sue eccezioni, e per Matthew Anderson l'eccezione era il professor Dippet, insegnante di matematica vicino ai sessant'anni. Benché avesse fatto quella professione per tutta la vita, Dippet era riuscito a conservare l'illusione che anche il ragazzo meno promettente ha un recondito desiderio di imparare. In Patrick Anderson quel desiderio doveva essere radicato ad una tale profondità che nessuno, Patrick meno di chiunque altro, ne aveva mai subodorato l'esistenza. Tuttavia, Dippet sapeva che tutti gli altri avevano torto e continuava a perseverare con il sincero entusiasmo della persona totalmente sprovveduta.
In genere questa fede ingiustificata non dava problemi a Patrick. Sebbene le sue probabilità di risolvere complesse equazioni matematica fossero pari a quella di partorire un bambino, aveva comunque la fortuna di dividere il banco con James Wheatley. James era forte in matematica e, benché la sua naturale malvagità lo inducesse, inizialmente, a lasciare Patrick nelle peste, alla fine si prestava a fornirgli la risposta giusta.
L'inconvenevole di questa soluzione stava nel fatto che il giovedì, alla stessa ora della lezione di matematica, James aveva la sua lezione settimanale di pianoforte. Ciò lasciava Patrick a nuotare o affogare senza aiuto. Per Patrick questo significava invariabilmente andare a fondo come un sasso, mentre il professor Dippet si prodigava in parole incoraggianti e il resto della classe si sforzava di reprimere l'ilarità.
Per questo Patrick detestava la lezione del giovedì, sapendo in anticipo che l'umiliazione era inevitabile. Ciò lo rendeva rabbioso, e con la rabbia veniva l'agressività. Sapeva bene che nessuno si sarebbe mai sognato di ridere di lui apertamente né tantomeno prenderlo in giro, la sua grossa stazza e il numeroso gruppo di amici al quale si era unito conoscendo James Wheatley garantivano la sicurezza di essere temuto e rispettato. In quel particolare giovedì mattina, mentre sedeva al suo banco in attesa dell'arrivo del professore, cercava una vittima su cui sfogare il malumore.
I suoi occhi si posarono sul banco in cui sedevano Michael Clive e Donald Perry. I due stavano consultando i libri e parlavano sottovoce tra loro, sicuramente confrontando le risposte ai problemi che avrebbero studiato quella mattina.
Nel giro di poche ore, Michael avrebbe ricevuto la seconda rata delle angherie alle quali James Wheatley aveva deciso di sottoporlo, ma di colpo poche ore sembrarono a Patrick un tempo troppo lungo. Non sapeva perchè Wheatley ce l'avesse tanto a morte con il fratello di Meredith Clive e nemmeno gli interessava. La settimana precedente, nel dormitorio, lui, Patrick e David Coubert, avevano preso nel cuore della notte il piccolo Michael. Lo avevano strappato dal letto e portato nel bagno dove Wheatley gli aveva riempito lo stomaco di calci e gli aveva urinato sulla testa. Patrick si diveritva in quel frangente, ed era solo desideroso di aiutare il suo suggeritore, una sorta di ripagamento per le risposte che questi gli passava.
Si alzò in piedi e andò verso i due ragazzi, usando la propria mole per spingere da parte i pochi che dovevano ancora prendere posto ai rispettivi banchi. Michael lo vide avvicinarsi. Il suo volto divenne teso per l'apprensione, che cercò di nascondere concentrandosi di nuovo sui libri. Quella visione eccitò Patrick. Guardò Michael dall'alto in basso.
-Stanotte morirai
Michael non rispose.
-Tu credi che l'altra volta sia stata brutta- continuò Patrick -Non era nulla in confronto a ciò che ti aspetta
-Oh certo disse Michael affettando noncuranza. I suoi occhi rimanevano fissi sul libro, così come quelli di Donald Perry. Quell'insulso ragazzino era troppo terrorizzato per prendere le parti dell'amico.
L'aula stava diventando silenziosa perchè tutti ascoltavano quel dialogo. Il silenzio diede a Patrick un senso di potere. Allungò una mano sul banco e chiuse il libro di Michael.
-Non mi piacciono i coglioni come te. Lo sai cosa ti farò?
-Lascialo stare! gridò una voce alle spalle di Patrick. Meredith Clive era appena entrata in classe, accompagnata dalla figura retta e sicura di Damian Doyle. Lei guardava Patrick con occhi di odio, difendeva sempre il suo fratellino.
-Tu non ti immischiare, troietta
La ragazza assunse un'espressione furente mentre Damian, con noncuranza, raggiungeva il suo banco.
-Ti ho detto di lasciarlo stare grosso idiota
Data la situazione, non era la cosa più opportuna da dire. Patrick afferrò Michael per il collo e cominciò a torcergli il braccio dietro la schiena. Michael urlò per il dolore mentre Meredith si avvicinò di corsa, tentando di far allentare la stretta.
-Smettila! Gli romperai il braccio
Patrick la spinse da parte. La classe era nel silenzio più assoluto, fatta eccezione per una voce che chiamava Patrick per nome. Questi la ignorò e torse ancora più forte il braccio di Michael.
-Spencer, qualcuno ti ha già detto che hai dei begli occhi?
Patrick si fermò.
Per lo stupore, lasciò andare il braccio di Michael e si voltò verso la parte da cui proveniva la voce.
-COSA?
Damian Doyle sedeva da solo al banco doppio presso la finestra, con i piedi sul sedile e la schiena appoggiata al muro. Alzò un sopracciglio guardando Patrick con espressione interrogativa.
-Allora?
Patrick guardò Damian come avrebbe guardato un pazzo.
-Che cazzo stai dicendo?
-Ti ho fatto una domanda. Lo sapevi che hai dei begli occhi?

Patrick, completamente spiazzato, batté in ritirata su un terreno a lui familiare.
-Fatti fottere, Doyle ringhiò e tornò a occuparsi di Michael.
-Ti ho solo fatto una domanda
Patrick lo ignorò. Fece l'atto di afferrare di nuovo Michael per il braccio.
Però Damian non era tipo da lasciarsi ignorare.
-Non hai motivo di inquietarti, Spencer. Voleva solo essere un complimento
Patrick ne aveva abbastanza. Si voltò.
-Chiudi quella bocca di merda!
-D'accordo Spencer. Non sei tenuto a rispondere se non ne hai voglia. Facciamo una votazione-
si voltò verso il resto della classe -Qualcuno pensa che Spencer ha dei begli occhi?
Silenzio. Damian sorrise a Patrick.
-Mi sembra un voto unanime
Nessuno parlava ancora, ma il silenzio si stava incrinando. Meredith guardava Damian come allibita, nemmeno lei capiva cosa stesse facendo. Patrick cominciò a udire intorno a sé delle risate sommesse. Fece gli occhiacci a Damian. Avrebbe cancellato il sorriso da quella faccia! Adesso era veramente arrabbiato.
Però le sue guance si stavano imporporando. Era in piedi, goffo, in mezzo alla classe, con venti paia di occhi fissi su di lui. La rabbia si affievolì, sostituita dall'imbarazzo.
-Stai arrossendo?
-Non è vero!
-Invece si
il tono di Damian era calmo, quel sorrisetto arrogante non spariva dalle sue labbra. Patrick iniziava a vergognarsi.
-No, maledizione!
-Stai arrossendo. Guardatelo tutti. Sta arrossendo, vero?
-No!
urlò Patrick. Non sopportava di essere sotto scritunio. Si sentiva il viso in fiamme.
-Non dovresti vergognarti- gli disse Damian -Molte persone considerano attraente un viso arrossato. Proprio come trovano belli i tuoi occhi Si appellò di nuovo ai compagni di classe.
-Qualcuno dei presenti pensa che il rossore di Spencer sia attraente?
-CHIUDI QUELLA BOCCA DEL CAZZO, DAMIAN!
ruggì Patrick.
Damian continuò a sorridergli, con il viso animato dalla malizia. Patrick avrebbe voluto sferrargli un pugno in faccia, ma si sentiva come paralizzato; le sue membra erano diventate di pietra sotto il peso dell'attenzione generale. Fu quasi con un ridicolo senso di sollievo che udì un rumore dietro di sé e la voce di Mr. Dippet che tuonava:
-Spencer, va' al tuo posto, per favore. Oggi abbiamo parecchio da fare
Patrick andò a sedersi. I suoi occhi scrutarono l'aula. Alcuni ragazzi lo stavano ancora osservando, ma tutti distolsero prontamente lo sguardo quando lui li fissò a sua volta. Il suo viso era congestionato.
-Spero- riprese Mr. Dippet -che ognuno di voi abbia affrontato tutti i quesiti. Forse le equazioni quadratiche possono non essere il più facile dei concetti, ma sono molto in voga tra gli esaminatori. Chi vuole provare la numero uno?
Silenzio.
-Nessuno si sente abbastanza coraggioso?
Ancora silenzio.
Poi Damian Doyle parlò.
-Credo che dovrebbe domandarlo a Spencer, signore. Sembra un tipo dotato di un grande ardimento
La classe esplose in una risata. Mr. Dippet sembrò stupito.
-Cos'é questo fracasso? Doyle, poiché sembri così presuntuoso, forse sarai disposto ad affrontare la prima domanda
La classe si calmò mentre Damian faceva ciò che gli veniva rischiesto. Patrick, con il volto ancora infiammato, sperava che facesse una figuraccia. Naturalmente non fu così.
-Molto bene, Doyle
-Grazie, signore, ma sono certo che Spencer avrebbe saldamente tenuto in pugno il problema

Di nuovo l'aula rimbombò per le risate.
-Basta così, Doyle! esclamò Mr. Dippet -Ora, domanda numer due. Donald Perry, forse vorrai provare con questa
Lentamente la lezione prese il ritmo normale, Donald iniziò bene, ma si bloccò a metà strada. Mr. Dippet tentò di guidarlo nella parte rimanente, mentre gli altri studenti si agitavano sui loro sedili, guardando i libri o l'orologio a muro. Dal fondo dell'aula Patrick osservava Damian Doyle. Finito il suo momento di gloria, Damian guardava fuori dalla finestra con la serena fiducia di chi sa di essere capace di rispondere a qualsiasi domanda, ma non si preoccupa delle conseguenza se per caso non ci riuscisse.
Damian aveva commesso un grande errore umiliando lui. Se ne sarebbe pentito.
Sentendosi osservato, Damian si voltò a guardare Patrick. Studiò freddamente il suo viso e vi lesse un messaggio di odio. Socchiuse la bocca e fece girare la lingua intorno agli angoli della bocca. Lentamente.
Eroticamente.
Poi, con un sorriso, gli strizzò l'occhio.
I due continuarono a fissarsi, ma Patrick fu il primo a distogliere lo sguardo.

James Wheatley era senza fiato. aveva corso sotto la pioggia della scuola di musica, ed era completamente inzuppato. Percorse borbottando il corridoio per la seconda ora di biologia.
Il resto della scuola usciva dalle aule intorno a lui, James vide in lontananzai suoi compagni di classe che sbucavano dall'aula 29. Comparve Michael Clive, accompagnato dalla sorella e dalla sua amica Rachel Knoller. Il ragazzino venne avanti, ma Meredith si fermò ad aspettare qualcuno. Rachel attese accanto a lei.
Aaron Miller uscì dall'aula e squadrò Meredith con macelato disgusto, le passò affianco e tirò avanti. Era strano questo suo comportamento, specialmente perchè, fino alla settimana prima, quell'insulso ragazzo era il cagnolino di lei. Meredith gli rivolse uno sguardo triste, come se l'avesse offeso in qualche modo e non sapesse come scusarsi, ma non lo seguì. Aspettava qualcun'altro.
Damian Doyle venne fuori e si diresse verso di lei. Rachel rimase vicino a Meredith, ma in qualche modo Damian attirava l'attenzione di lei più di qualunque altra cosa. Il terzetto si avviò lungo il corridoio; Damian chinò la testa per parlare a a Meredith.
Ci fu una certa agitazione dietro di loro. Una voce che gridava. Patrick Spencer si stava aprendo la strada tra la folla. Damian si voltò verso di lui. Altri allievi della loro classe si fermarono a guardare.
La faccia di Patrick era paonazza per la rabbia. Parlava in fretta, agitando con aria minacciosa una grossa mano verso Damian. Questi si limitò a ridere, allungò il braccio e cercò di accarezzare la guancia di Patrick che arretrò; sul suo viso la confusione subentrò al furore. Tutti intorno a lui scoppiarono a ridere. James si accorse di rallentare il passo.
Mr. Dippet, che stava uscendo dall'aula, vide il gruppo riunito presso la soglia. Con un gesto invitò i ragazzi ad andarsene. Lo fecero con riluttanza. Meredith vide James e toccò il gomito di Damian.
-Che succede? domandò James.
-E tu che c'entri? replicò Damian.
James si voltò verso Patrick.
-Allora?
Patrick non disse nulla. Guardò il pavimento, come se si vergognasse.
-Parla!
-Spencer è un po' scosso-
spiegò Damian - Io gli ho fatto un complimento, ma lui l'ha preso male
-Tu devi chiudere la bocca!
gridò Patrick. Nelle sue intenzioni il tono era minaccioso, ma in pratica suonò poco convincente.
-Se no? Mi farai rientrare la testa nelle spalle a forza di botte? Non devi chiedere il permesso a Wheatley prima di fare minacce del genere?
-Ti ho detto di stare zitto!
ruggì Patrick
-Va tutto bene, Spencer. Io non ti odio. Posso disprezzarti, ma non ti odio. Anche se tu hai spintonato la mia ragazza e picchiato il suo fratellino, io non ti odio per questo. So che stavi solo obbedendo agli ordini
-Faresti meglio a fare come ha detto Patrick
disse James a Damian. Lo sguardo di quest'ultimo non era gelido come quello di Wheatley che lo fissava con la sua malefica indole castigatrice. Damian non parve preoccupato.
-Perchè? Perchè tu gli ordinerai di picchiarmi? Per la seconda volta Damian allungò la mano per toccare la guancia di Patrick, che arretrò. Damian rise.
-Guardalo. Non poserà un dito su di me
Il corridoio si stava svuotando. Rachel aveva osservato con ansia la scena, diede di gomito a Meredith.
-Faremo tardi, sarà meglio andare
Meredith esitò guardando Damian, che sorrise e annuì. Le due ragazze si avviarono, lasciando Damian con James e Patrick.
Avanti- disse Damian a Patrick -dammi una lezione
James fissò Patrick, desiderando fortemente che facesse qualcosa, ma l'amico, con il viso congestionato, si limitò a guardare per terra. Damian rise di nuovo.
Quel suono ferì James.
-Perchè dovremmo sprecare il nostro tempo con te? E' Michael che vogliamo, lo avremo questa notte e tu non puoi farci niente
Damian gli lanciò un'occhiata sprezzante.
Scommettiamo? pensò.
-Noi, noi, noi. Tu fai le minacce, ma sono i tuoi ruffiani ad attuarle. Dipendi completamente da loro. Da solo saresti uno zero- il suo volto si aprì in un sorriso -Non sarebbe terribile che capitasse qualcsa ai tuoi accoliti? Prova a immaginare che loro non siano più intorno a te. A quel punto ti sentiresti in pericolo- Rabbrividì, fingendo orrore -Dio, non osi nemmeno pensarlo, vero?
Si voltò e partì lungo il corridoio per raggiungere Meredith e Rachel.
James lo guardò allontanarsi.
-Perchè te ne sei stato lì in quel modo?- Domandò a Patrick -Non è più grosso di te! E' un niente in confronto a te! Avresti dovuto distruggerlo
-Volevo farlo
-E perchè non l'hai fatto?

Nessuna risposta.
-Perchè non l'hai fatto?- lo incalzò James. Patrick si strinse nelle spalle -Ebbene?
-Non è così facile
-Certo che lo è!
-Tu non capisci
-Non capisco cosa?
-Tu non c'eri. Non hai sentito ciò che ha detto
-Detto? Sono soltanto parole. Lui è tutto chiacchere, e le chiacchere non valgono niente. Tu potresti usarlo come strofinaccio per pulire il pavimento! Sai che potresti!
-Non è solo per ciò che ha detto. Era l'espressione dei suoi occhi mentre parlava
-Che tipo di espressione?
-Quella da cui capisci che non è normale

James deglutì.
Cercò le parole, ma non ne trovò nessuna. In silenzio, i due andarono lungo il corridoio alla lezione successiva
 
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Ouija
view post Posted on 6/4/2010, 20:43




V.

Il professor Stephen Tyler entrò nello studio del preside Malcolm Ackerley.
-Spiacente di disturbarti. Ti secca se arrivo a quest'ora?
-No di certo
Malcolm gli indicò una poltrona. Stephen notò che aveva una mano bendata alla meno peggio.
-Un incidente?
-Mi sono tagliato
rispose Malcolm. Il suo tono era brusco.
-Sei sicuro che sia l'ora buona? domandò di nuovo Stephen.
-Te l'ho appena detto, no?
Quello scatto insolito colse di sorpresa Stephen.
-Naturalmente- mormorò un po' imbarazzato -Mi dispiace
-No, scusami-
si affrettò a dire Malcolm -Non volevo essere scortese. Elizabeth, la cugina di Lilith, è venuta a stare un po' di tempo qui e io sono già riuscito a litigare con lei
Stephen sorrise.
-Mi ha sempre dato l'impressione di essere il tipo di donna con cui è facile litigare
-Lo è, maledetta femmina! Perché non se ne può stare per conto suo?-
Malcolm sembrava sul punto di dire qualcosa di più, ma si controllò. -Comunque, ti chiedo scusa. Ricominciamo da capo. Sono contento di vederti. E' una visita di cortesia?
-Eh no, è più una questione di lavoro. Riguarda Meredith Clive

Malcolm rifletté un attimo.
-Non è quella sempre attaccata a Damian Doyle?
Stephen annuì. -Questa amicizia è il motivo per cui sono qui
-Hai riserve mentali a proposito?
-Sì
-Lillith se ne è rallegrata moltissimo. Dice che è esattamente la cosa di cui Doyle ha bisogno, e pensa che gli farà un gran bene
-Forse gliene farà, ma io mi preoccupo di ciò che sta facendo a Meredith

Malcolm lo guardò perplesso.
-Non credo che questa amicizia sia un bene per lei. Penso esattamente il contrario
-Perché?-
Uno sguardo allarmato passò sul volto di Malcolm -Cristo! Non penserai che stiano facendo certe cose fra loro...qui, nella nostra scuola!
-No
rispose in fretta Stephen e arrossì.
-Chiedo scusa, ma è la prima idea che mi viene in mente in questi casi
Stephen scosse il capo.
-Grazie a Dio. Dopo la storia di James Kudrow e di Palmer, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è uno scandalo a sfondo sessuale
-Non è così
disse Stephen a bassa voce.
-Che cos'é allora?
-Tu conosci bene la Clive?
-Non proprio. Brava studentessa, con la testa sulle spalle. E' una ragazza responsabile, per cui ho parlato con lei una o due volte. Mi sembrava una ragazza solare. Una a posto, ecco.
-Vero. Ed è questo il punto
-Sarebbe a dire?
-Io la conosco bene. Mi è sempre piaciuta. E' simpatica, educata ed entusiasta. Ha un gruppetto di buone amiche e buoni amici, lavora con impegno, cerca sempre di fare del suo meglio e vuole riuscire. L'ho descritta come una ragazza sensata, con i piedi per terra. Quantomeno, così finché non è arrivato Doyle

Si fermò. Malcolm fece un segno d'incoraggiamento. Dopo il suo ultimo colloquio con Doyle non era certo di essere pronto per ciò che stava per sentire, ma voleva, doveva sapere.
-Continua
-Da quando hanno iniziato a frequentarsi, c'é stato un grande cambiamento in Meredith. La qualità del suo lavoro ha cominciato a soffrirne. Si è isolata dagli amici che aveva prima. E' come se lei e Doyle vivessero in un loro mondo privato...-
Si sforzò di cercare le parole giuste -...una vena di cattiveria che prima non c'era e che non mi piace affatto
-Capisco
-So che non sono affari miei. Le amicizie cambiano e ci sono le prime cotte, fa parte della vita. Però mi preoccupo per Meredith. Conosco i suoi precedenti. So che è un grande sforzo economico per i suoi genitori mandarla a studiare qui. Ha sempre avuto la capacità potenziale di fare molto bene, ma ora penso che quel potenziale si sia deteriorato
-E consideri Doyle respondabile?
-Sì. Mi dispiace venire da te per questo, Malcolm. Forse dovrei andare dal capo della Casa di Meredith, oppure da quello di Doyle. Però ho pensato che tu avresti capito. Lillith mi ha detto una volta che tu consideravi Doyle distruttivo. Allora mi sembrò una valutazione eccessiva. Adesso, nel vedere il cambiamento che sta avvenendo in Meredith, non credo che sia esagerato affatto

Malcolm sospirò. Si appoggiò allo schienale della poltrona e guardò il soffitto. Stephen lo osservò con ansia.
-Allora?
-Hai ragione a preoccuparti. Io sono convinto che Doyle è distruttivo. Arriverei ad affermare che è il ragazzo più distruttivo che ho conosciuto-
Malcolm preferì tenere per sé l'ultima considerazione fatta nei confronti di Damian. Non si sentiva sicuro ad ammettere con Stephen che credeva il ragazzo malato di mente -Quando è arrivato qui la prima volta, ho pensato che tutta la sua personalità fosse fasulla. Ho già visto altri casi come il suo: ragazzi che posano a fare i solitari perché pensano che ciò dia loro un certo carisma. Ragazzi che fingono di non preoccuparsi di quello che pensa il mondo, mentre in verità tutta la loro vita è un'esibizione studiata per ottenere un applauso. All'inizio avevo classificato Doyle come un elemento di questa categoria. Mi sbagliavo.
Perché nel suo caso non è una finzione. Lui se ne frega di tutti e di tutto. Non cerca approvazione. Non vuole sentirsi speciale o importante. Non vuole socializzare in nessun modo. Al centro del suo essere c'é una rabbia così potente che distrugge tutte le altre emozioni. Per la maggior parte del tempo tiene nascosta questa rabbia, ma ogni tanto la lascia uscire e, credimi, quando la vedi non la dimentichi. Faccio l'insegnante da vent'anni e, fra tutti i ragazzi che ho incontrato, questo è l'unico che riesce a spaventarmi

Mentre ascoltava, Stephen ebbe un brivido.
-Che cosa vuoi che faccia?- domandò Malcolm -Che parli alla Clive?
-Ho provato io, ma non è servito a nulla. E' troppo ammaliata da Doyle. Secondo me, farebbe qualunque cosa che Doyle gli dicesse di fare
-Allora vuoi che...-
Malcolm non se la sentì di finire quella frase. La sola idea di un altro colloqui con Doyle lo metteva a disagio. Fu con un grande sforzo che fece uscire quelle parole -...parli io con Doyle?
-Così pensavo, ma adesso non ne sono più così sicuro. Credi che ti darebbe retta?

Malcolm cercò di mascherare il suo sollievo.
-Probabilmente no
-E allora? Non possiamo lasciare le cose come stanno
-Non è questo che ho in mente. Per il bene di Meredith, dovremmo fare qualcosa. Francamente ci ho già provato, ho detto a Doyle che la storia con la Clive era chiusa, ma quello lì è furbo. Sa come mettere nel sacco le persone, ho le mani legate con lui
-E che dovremmo fare?
-Non lo so, Stephen. Non lo so proprio
 
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view post Posted on 14/8/2010, 11:53
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Caspita! Geniale a dir poco, mi è piaciuta un casino
 
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